L’incredibile storia di Francesco Ugo Locatelli
LA NASCITA
Mi chiamo Francesco Ugo Locatelli. Sono nato il 27 gennaio 1998 alla Clinica Sant’Anna di Sorengo, in Ticino (Svizzera). Pesavo esattamente 1000 gr. ed ero lungo 32 cm. Il mio APGAR (metodo di valutazione del nascituro a due o tre intervalli di tempo subito dopo la nascita) era di: 4/4/7, e la mia età gestazionale è stata stabilita in 25 settimane e 4 giorni. La mia nascita è stata spontanea.
La storia della mia prematurità è incominciata un giorno prima, il 26 di gennaio. Infatti, quel lunedì, mia mamma non si sentiva molto bene: lamentava delle contrazioni e aveva delle perdite. Si è rivolta al suo ginecologo ma quest’ultimo era in vacanza. Decise di farsi visitare dal suo sostituto: un noto luminare luganese.
Il ginecologo, dopo averle praticato un’ecografia, la rassicurò e le prescrisse dei tocolitici. La rimandò a casa con le solite raccomandazioni d’uso: tranquillità, evitare gli sforzi e soprattutto non doveva preoccuparsi.
La notte le contrazioni divennero più forti e mio papà decise di ricoverare la mamma d’urgenza. In clinica intervennero con le procedure standard: tocolitico in vena e antibiotici per una sospetta infezione vaginale, nient’altro. Alle 09:30 del martedì si sono rotte le acque. Il ginecologo disse ai miei disperati genitori che, praticamente, sarei nato morto. Disse che era molto dispiaciuto e, sinceramente, sembrava molto imbarazzato.
Parcheggiarono la mamma in una sala parto e quando le contrazioni si fecero più forti arrivò un’ostetrica che aiutò la mamma ad abortire. Mamma urlava il suo dolore e papà la stringeva forte a sé. Erano le 10:24.
Malgrado quello che aveva detto il ginecologo, IO NON VOLEVO MORIRE, e appena uscito dal grembo di mamma mi misi a piangere il più forte possibile. Dovevano sentirmi! L’ostetrica si accorse del mio pianto e correndo mi portò via. Sentivo in lontananza la mamma urlare e dimenarsi. Pare che papà, tenendola forte a sé le dicesse che non era il pianto di un bambino ma un imprecisato cigolio. Beh, papà e mamma pensavano che mi portavano via per buttarmi. Per il medico ero un feto, non un essere umano.
Non mi ricordo molto bene quello che successe durante i 15 minuti prima che venissi presentato a mio papà e a mia mamma. Mi hanno raccontato dell’intervento di un ottimo neonatologo italiano, lì per caso, che mi iniettò nei polmoncini un surfatante (Curosurf), e mi intubò (una macchina respirava per me). Ricordo però quando disse al mio inebetito papà: “non potevo lasciarlo morire!”. Grazie dottore, lei ha creduto in me!
Io sono venuto al mondo così: in una stanza, con i cappotti dei miei genitori buttati su una sedia (quando “parcheggiarono” la mamma in “sala parto” le chiesero di prendere le sue “cose”), senza nessuna precauzione, con la porta aperta, e con la mamma rimasta 15 minuti con il cordone ombelicale penzolante. La mamma era convinta di avermi sentito piangere, ed era anche convinta che mi avessero buttato via come un pezzo di carne avariata (a Zurigo, qualche anno fa, hanno scoperto che le placente venivano congelate per poi finire trasformate in mangime per animali con i residui delle macellazioni). Che facessero questa fine anche i feti degli aborti o i bambini prematuri come me che non ce l’avevano fatta? Se fossi morto nelle stesse esatte condizioni che mi hanno permesso di vivere non avrebbero fatto un funerale, non mi avrebbero seppellito, nessun prete mi avrebbe battezzato, una lapide non mi ricorderebbe. IO NON SONO NATO (sono qui a raccontarvi la mia storia, ma non sono mai veramente NATO!). Un pianto, un flebilissimo pianto sentito dall’ostetrica, mi ha forse evitato di diventare mangime. Sembra un film dell’orrore di pessimo gusto? Eppure è così. Quanti bambini nella mia situazione non hanno avuto la forza di piangere, un’ostetrica attenta, un neonatologo a disposizione per caso? E quei feti abortiti un attimo prima che potessero respirare, piangere, dove sono, che fine hanno fatto i miei compagni sfortunati? C’erano e un’idea di falsa libertà, la più bieca ignoranza, o semplice e volgare egoismo, hanno impedito che diventassero quello che dovevano essere. Giudicati e condannati a morte da chi?
L’aborto e le nascite premature considerate tali, sono in una zona grigia della nostra coscienza collettiva. In questa zona si mescolano incestuosamente l’etica e il pragmatismo. Che cosa è un aborto a tre-quattro mesi gestazionali? Che status avevo -indipendentemente dalle mie possibilità di sopravvivenza- quando sono venuto alla luce?
La mia prima fotografia
(Un feto, un bambino, o un’opinione?)
L’ARRIVO A BERNA
Alle 15:30 arrivò un grande elicottero rosso della REGA con un medico e un’infermiera dell’Inselspital di Berna a bordo. Dopo avermi trasferito in un’incubatrice da trasporto, l’elicottero decollò: erano le 16:00.
Dell’arrivo a Berna nel reparto di cure intense di neonatologia (NICU – neonatology intensive care unit) non mi ricordo molto. So che papà è venuto a trovarmi l’indomani e che parlò con un medico.
L’assistente che ricevette mio papà fu molto esplicita. Descrisse tutte le difficoltà alle quali andavo incontro. Parlò a lungo dei gravissimi rischi di disabilità che i prematuri gravi come me correvano. Parlò anche delle scarse possibilità che avevo di diventare un bambino e una persona normale. Ricordo che disse a papà che sarebbe già stato un miracolo se fossi diventato “normale”, ma che comunque, un Einstein, non lo sarei mai stato. Disse anche -la gentile assistente (ticinese)- che a loro (Inselspital), non piaceva vedere uscire dall’ospedale bambini disabili. Papà non capì molto bene cosa voleva dire. Parlarono anche di accanimento terapeutico, ma credo che non intendessero la stessa cosa.
I medici di Berna, dopo la prima ecografia cerebrale, avevano già riscontrato un’emorragia intraventricolare (IVH) di grado 1; non grave, ma da tenere sott’occhio. Ai gradi superiori emorragie di quel tipo possono provocare un idrocefalo (acqua nel cervello), o una leucomalacia periventricolare (piccoli buchi nel tessuto cerebrale), o la morte. Sembrava, comunque, che tutto andasse abbastanza bene, compatibilmente con la mia grave prematurità.
Il NICU a Berna
Il CPAP
Sono rimasto intubato solo per due giorni, e dico solo perché i bambini prematuri gravi come me, in genere, rimangono intubati molto più a lungo. L’intubazione è dannosissima per i polmoni, e noi prematuri ne abbiamo di così piccoli e malfunzionanti che l’evitare qualsiasi ulteriore danno è vitale.
Avevo però ancora bisogno di ossigeno e, secondo i medici, di pressione per mantenere i polmoni aperti. In questi casi si fa capo a quello che chiamano il CPAP. CPAP è la contrazione inglese di “continuous positive airway pressure”, e può essere applicato in vari modi: con una tracheotomia, rialzando il tubo del ventilatore (la macchina che respira ) al livello della trachea e mantenendo una pressione continua nei polmoni, o con il metodo attualmente universalmente usato che consiste nell’infilare nel nasino due tubicini rigidi.
Il CPAP era maledettamente grande e lo applicarono allargandomi il naso. La mia delicatissima pelle non sopportava questo trattamento e subito -dopo 2 giorni- cominciò a formarsi una piaga molto dolorosa: una necrosi. Ogni quattro ore dovevano togliermi il CPAP per pulirmi con un piccolo aspiratore le vie aeree. Per farlo utilizzavano un tubicino che facevano scendere fino nei polmoni, e spesso smettevo di respirare. L’infermiera mi rianimava con un AMBU, rimetteva l’aggeggio (CPAP), e mi coricava sulla pancia.
Nel frattempo, ad intervalli regolari, smettevo di respirare e la frequenza del mio battito cardiaco scendeva. Arrivava l’infermiera che con qualche battutina sul sederino mi ricordava di respirare. Le apnee si combattono somministrando caffeina o teofillina e con pacche sul sederino, o nei casi più difficili con dei pizzicotti.
Forse non sapete che il nostro cervello è affidabile nella regolazione del respiro solo verso la 34esima settimana gestazionale, e i prematuri gravi non sanno ancora respirare per conto loro. Questi frequentissimi episodi si chiamano “apnee” e sono generalmente accompagnati da bradicardie (abbassamento della frequenza cardiaca); sono anche un’indicazione del nostro stato di salute.
Ritorniamo al CPAP. Come dicevo, cominciava a farmi molto male già dopo due giorni. Il mio nasino si stava gonfiando e la columella era piagata, necrotica.
Il sabato, quando arrivarono papà e mamma, il CPAP era già una tortura e cercavo di toglierlo molto spesso. Credo di essere riuscito a toglierlo qualche volta. Comunque, papà e mamma portarono una cassetta audio con incise le loro voci e un’altra con il battito cardiaco della mamma, registrato con l’aiuto di amici in uno studio professionale. Volevano, i miei genitori, ricreare nell’incubatrice l’ambiente uterino con un walkman. Ottennero che gli auricolari del walkman fossero piazzati vicino alla mia testa e che le cassette fossero utilizzate regolarmente.
Papà dice che l’assurdo di certa medicina si vede proprio nel fatto che costosissime incubatrici non sono equipaggiate con un piccolo walkman. Ricreare un minimo di ambiente uterino è vitale. Nell’incubatrice, il neonato prematuro grave, è aggredito da suoni e da luci per lui alieni, nel momento “formativo” più importante della sua vita. I prematuri gravi, quando diventano bambini, hanno una relazione strana con certi suoni: hanno piacere a ricevere pacche sul sederino- memori del trattamento contro le apnee. Il periodo passato nell’incubatrice lascia la sua traccia anche nel cervello. Ci vuole poco per arrivarci: ma i medici, intrisi di “scienza”, non ci arrivano proprio.
Ad esempio: se i miei genitori inserivano la cassetta con il battito cardiaco di mamma, le mie apnee avevano una netta tendenza ad aumentare. È possibile che il battito del cuore mi ripiombasse nell’utero, facendomi dimenticare di respirare. La cassetta del battito, appena appurato che era dannosa, non fu più adoperata. La cassetta con la voce dei miei genitori, invece, era utilissima: mi calmava. In seguito furono aggiunte cassette con fiabe raccontate da papà e mamma, e altre con diversi tipi di musica.
Un’infermiera chiese ai miei genitori il permesso di filmarmi e di fare uno studio su una tecnica chiamata “stimolazione basale”. Diedero il loro consenso.
Papà e mamma si spaventarono molto vedendo il mio naso e chiesero spiegazioni all’infermiera che mi curava e alla dottoressa di turno. La risposta fu molto semplice: dicevano che era normale, che quasi tutti i prematuri sviluppano quel tipo di necrosi nasale. Precisarono che una piccola operazione di chirurgia plastica avrebbe risolto il problema. Papà e mamma erano preoccupati soprattutto perché mi vedevano soffrire, ma le assicurazioni dei medici li tranquillizzarono un po’. Decidettero di non farmi fotografie. Non volevano documentare le mie disumane sofferenze.
Papà e mamma venivano da Lugano 3 o 4 volte alla settimana (300km solo andata!) e rimanevano a Berna durante i fine settimana. Mamma pompava latte come una matta, senza tanto successo. Ma ne consumavo poco e bastava. Ero nutrito con una sonda gastrica. La mamma poteva congelare un po’ di latte, e il necessario lo portava con sé o lo inviava per posta espresso. Ogni volta che venivano mi trovavano più sofferente di prima e con il naso sempre più gonfio e distrutto. Non capivano.
Mamma tentò anche la “Kangaroo care” (consiste nel mettere il bambino sullo stomaco della mamma per fargli ritrovare l’ambiente uterino e creare un legame tra mamma e bambino). Pare sia efficace: ma mio papà lo proibì. Con il mio nasino a pezzi soffrivo troppo e i benefici erano di gran lunga inferiori alle sofferenze che il CPAP mi infliggeva. La cosa straordinaria era che il personale infermieristico non dava nessuna importanza al fatto che il CPAP mi spostava il naso ferito e i rostri entravano nella carne viva e mi facevano “urlare”. Dei pazzi scatenati! I loro manuali dicevano che a quella età si poteva fare “kangaroo care”, e loro, come automi, applicavano.
Pesavo 850 grammi.
La BPD
Dopo due settimane circa -le date sono imprecise, papà era troppo occupato a guidare, e la mamma a pompare giorno e notte, per tenere un diario preciso- è arrivata la prima notizia di una patologia tipica della prematurità: la BPD (displasia broncopolmonare). Una diagnosi molto severa. È una gravissima infiammazione dei polmoni con distruzione di alveoli e ispessimento delle pareti dei bronchioli. Una patologia scoperta non più di 30 anni fa e conseguente ad una RDS (respiratory distress syndrom). Con la BPD lo scambio dei gas (O2-CO2) non avviene normalmente. I polmoni colpiti dalla BPD richiedono più ossigeno e l’ossigeno in abbondanza è un veleno che peggiora la BPD. Un circolo vizioso che può durare anni e richiedere lunghe intubazioni, l’utilizzo di farmaci pesanti, o un’ossigeno-terapia per molto tempo.
Le mie apnee, e le conseguenti bradicardie erano aumentate, soprattutto quelle segnalate in rosso sul grafico, quelle che richiedevano una stimolazione. Avevano fatto una radiografia ai miei polmoni e secondo lo pneumologo la situazione era molto grave. Avevano deciso di togliermi dal programma di rianimazione. In chiaro: avevano deciso che non sarei più stato rianimato se ne avessi avuto bisogno. Per un prematuro come me la decisione equivaleva a UNA CONDANNA A MORTE! Il mio “giudice” aveva preso la decisione di condannarmi sulla base di una radiografia.
Infatti, chiesero ai miei devastati genitori se volevano farmi battezzare l’indomani. Potevano [l’Inselspital] organizzare il battesimo con la missione italiana. Cosa che fecero. L’indomani, il 15 di febbraio, arrivò un prete italiano con una suora e mi battezzò molto rapidamente. Credo che mi diede anche l’estrema unzione. In quel mentre avevo strappato il CPAP e 2 infermiere e un medico stavano rimettendolo. Mi difendevo come un ossesso e piangevo. Impiegarono 20 minuti per rimettermi l’aggeggio. Il prete scappò correndo, spaventato, seguito dalla suora in lacrime. Papà dovette letteralmente rincorrerli per fare una donazione alla missione italiana.
La situazione del mio naso era spaventosa e le mie sofferenze indescrivibili.
Il ponteggio dell’infermiera che minacciò dimissioni se non la lasciavano intervenire!
Diedero avvio alle cure contro la BPD lo stesso giorno. Mi somministrarono dei corticosteroidi (Decadron-cortisone) per via endovenosa, e potenti diuretici (lasix). In qualche giorno la situazione delle apnee e bradicardie migliorò moltissimo. Dopo 3 giorni non avevo praticamente più bisogno del CPAP: bastava un po’ di ossigeno. Alla faccia del “giudice” che la mise sulla: “crapona dei ticinesi duri come rocce”.
Dopo 10 giorni i “medici” revocarono la condanna a morte e mi riammisero al programma di rianimazione (prima, sulla cartella accanto alla mia incubatrice, era scritto in blu: “KEINE REA”, poi in rosso: “VOLLE REA”). La mamma riprovò la “kangaroo care” e un po’ funzionò.
I danni e la prima “Kangaroo care”
La NEC
La seconda violenta discesa sulle montagne russe della prematurità; forse la più terribile, quella che lascia un terzo di noi prematuri gravi senza speranza: la NEC (enterocolite necrotizzante)! Una parte del nostro intestino -vuoi per mancanza di appropriata irrigazione sanguigna, vuoi per un agente patogeno- si necrotizza. La necrosi può forare l’intestino e, in sostanza, finire in peritonite: peritonite che su un fisico debole come il nostro è spesso fatale. A volte si riesce ad operare in tempo togliendo la parte dell’intestino colpita, e dopo un mese si riattacca insieme l’intestino. Le possibilità di sopravvivenza sono comunque molto scarse. Inoltre, la NEC gonfia la pancia, e quest’ultima preme sui polmoni aggravando a dismisura le nostre difficoltà respiratorie.
Domenica primo marzo, papà e mamma -rientrati nel tardo pomeriggio- chiamarono, come di consueto, verso le 11:00 di sera. Papà non era ripartito da Berna molto convinto: oramai abituato ai monitor aveva notato delle frequenze di eventi insolite, e ne aveva parlato con mamma. Non era tranquillo. La risposta dell’infermiera alla telefonata gelò il sangue ai miei genitori: “sospetta NEC”. Stavano indagando! Avevo quaranta di febbre, mi lamentavo con la mia flebile vocina e il mio pancino era gonfio come un pallone.
Papà e mamma arrivarono prestissimo la mattina seguente e mi trovarono intubato. L’avevo scampata bella! Se la NEC fosse arrivata con 3 giorni di anticipo sarei morto, non mi avrebbero più intubato. Dovevo lottare contro la NEC, ma almeno avevo una possibilità. Ogni sei ore arrivava un chirurgo per controllare il diametro della mia pancia e decidere se era il caso di operare. Nel frattempo mi somministrarono massicce dosi di antibiotici e praticarono una trasfusione (in tutto ne ricevetti due). Rimasi intubato per più di 20 giorni ma la NEC guarì, non senza lasciarmi delle cicatrici intestinali che forse, un giorno, dovranno essere rimosse. Sempre che prima non faccia un’occlusione intestinale (ileo). A causa dell’intubazione la BPD era un po’ peggiorata. Era il prezzo da pagare!
Intubato per la NEC
Mi estubarono il 22 di marzo. I medici temono sempre questo momento. Non sanno come reagiscono i bambini. La frequenza del ventilatore viene diminuita gradatamente e così pure la pressione. Per fortuna tutto si svolse per il meglio.
Continuavo a prendere caffeina anche se le apnee e bradicardie erano diminuite. Avevo sempre bisogno di ossigeno, dal 25 al 40% a seconda dei momenti (l’aria che respiriamo ne contiene il 21%). Era somministrato con un tubicino applicato sotto il naso o con la testa sotto una padella umidificata.
Dopo 3 giorni mi trasferirono in neonatologia – cure intermedie.
INTERNET
Vi chiederete che cosa ha a che fare internet in tutto questo -a parte il fatto che state leggendo la mia storia proprio su internet? Papà in ufficio era collegato, e una sera, mentre sbirciava per la prima volta su internet alla ricerca di notizie sulla prematurità, capitò su un sito intitolato: “the preemie ring”, composto da più di cento siti di genitori con bambini nati prematuri collegati in un “ring”. Vi si trovano siti di una decina di bambini nati con un’età gestazionale inferiore alla mia e una ventina di bambini come me: nati di 25-26 settimane gestazionali. Tutti i siti erano corredati di foto, diari, ecc. Contrariamente alle affermazioni dello staff medico di BERNA, papà non trovò nessun setto nasale distrutto, tutti i nasini erano perfetti. Solo un sito accennava ad infermiere nervose per un’irritazione del naso di una bambina, che, tra l’altro, aveva subito il CPAP molto più a lungo di me. Le foto dei bambini con il CPAP mostravano una cura ben diversa nell’applicazione del marchingegno. Papà mostrò le foto e i documenti alla mamma. Si arrabbiarono moltissimo. Si rendevano conto che lo staff medico di Berna aveva mentito, e aveva seguitato ad utilizzare quel CPAP a sproposito per coprire le proprie bugie.
Da quel giorno papà e mamma presero in mano la situazione. Si presentavano a Berna con i documenti in mano. Documenti che lasciavano bene in vista, e che accusavano tutto lo staff medico delle cure intensive. Mamma e papà facevano domande su tutto, contestavano, chiedevano tutte le cartelle cliniche e le controllavano, e “suggerivano”. Sapevano che dovevano tirarmi fuori da Berna VIVO!! I medici avrebbero continuato a seguire le procedure e a non fare una iota in più per salvarmi. Tanto la colpa di tutto, per i dottori, era mia: SONO NATO PREMATURO!
LE CATTIVE NOTIZIE DEL GENTILE PRIMARIO TICINESE: ROP, PVL
Sono stato trasferito nel reparto di neonatologia in una forma abbastanza buona per un prematuro di 25 settimane. Il consumo di ossigeno stava piano piano diminuendo, le apnee si facevano più rare e incominciai a nutrirmi un po’ con la bottiglia. Una o due volte mi attaccarono al seno della mamma e mi piaceva molto. Il latte della mamma stava scomparendo malgrado tutti i suoi sforzi. Quando mamma mi prendeva in braccio papà teneva sotto il mio naso un tubo con l’ossigeno. Potevo stare un po’ con lei. Era felice… e lo ero anch’io.
Il tubicino di Berna
Mio papà sapeva che dovevano farmi un esame degli occhi ed era stupito che non l’avessero ancora fatto. È da tutti raccomandato che l’esame della ROP (retinopatia della prematurità) avvenga dopo 6 settimane dalla nascita o alla 33esima settimana se il bambino è stabile. L’esame è abbastanza invasivo. Io ero stabile e stavo entrando nella 34esima settimana. Comunque, alle cure intensive sembravano sorpresi e molto -ma proprio molto- imbarazzati. Incontrando il Prof. primario delle cure intensive papà aveva chiesto come mai l’esame non era stato fatto. La ROP se non curata porta alla cecità. È una cosa maledettamente importante! Il “primario” rispose stupito che “pensava” che fosse stato fatto e che se ne sarebbe occupato subito. Comunque ero in neonatologia, e lì sarebbe avvenuto l’esame. Fu previsto per la settimana seguente.
Il primario di neonatologia, nel frattempo, voleva vedere i miei genitori per fare il punto della situazione. Il giovedì 26 marzo descrisse la mia situazione ai miei attentissimi genitori: partendo dalla testa.
A livello neurologico era tutto normale: reagivo come un bambino della mia età gestazionale, e l’emorragia intraventricolare si era fermata al grado 1. Non erano da prevedere sorprese!
Per gli occhi e la ROP non avrebbero dovuto preoccuparsi, e disse che in Svizzera le statistiche erano molto favorevoli e che l’anno prima nessun prematuro aveva perso la vista a causa della ROP. Ottima scusa per mascherare la dimenticanza di un intero staff di cure intensive.
“Skippo'” elegantemente il naso.
Descrisse la situazione cardiaca come buona, anche se non erano sicuri se il dotto di Botallo (PDA) si era richiuso completamente. A volte si sentiva qualche cosa a volte no. Papà chiese come mai non avevano fatto un ecodoppler per sincerarsene -anche perché sapeva che il dotto aperto peggiora la BPD- ma il Dottore a disagio sorvolò.
La situazione polmonare era seria ma non grave e sperava che migliorassi in fretta con i diuretici e le inalazioni di ventolin. Comunque, si trattava di una BPD dal decorso incerto.
Parlò delle stenosi intestinali -lascito della NEC- e suggerì di tenere sotto stretto controllo l’intestino onde evitare un’occlusione.
La mamma tentò di riportare il dottore al livello del naso, ma quest’ultimo rispose in modo molto evasivo. Tutti i medici sapevano che alle cure intensive l’avevano combinata grossa e, di conseguenza, trattavano papà e mamma con i guanti. Quelli delle cure intensive, quando incrociavano i miei genitori, abbassavano lo sguardo e si defilavano. Avevano scaricato la patata bollente alla neonatologia e al povero primario ticinese.
Il 27 marzo l’oftalmologo esaminò i miei occhi. Papà era in ufficio a Lugano. Il primario chiamò papà sul cellulare e con una voce di scusa annunciò che avevo la ROP a tutti due gli occhi. Un occhio con un livello 2 ma forse 3, e l’altro 2. La situazione degli occhi non era gravissima ma seria. A 3+ si deve operare, a 4 si perde praticamente l’occhio, e a 5 si è ciechi. I medico disse a papà che avrebbero tenuto gli occhi sotto esame con molta cura ogni settimana, disse anche che l’Inselspital disponeva di un ottimo oftalmologo, e che in caso di necessità, potevano operarmi nelle migliori condizioni.
Continuavo, anche se piano, a migliorare con l’ossigeno. Qualche giorno dopo, un medico annunciò ai miei genitori che il primario voleva vederli. A papà e mamma la cosa non piacque affatto, sapevano che quando un primario richiede un colloquio, generalmente, è per comunicare brutte notizie.
Il 2 di aprile i miei genitori si appartarono con il primario e un assistente. Il medico iniziò con questa frase: “Ho una bruttissima notizia da darvi e mi dispiace moltissimo”.
All’ultima ecografia cerebrale avevano riscontrato lesioni cerebrali: una “leucomalacia periventricolare” (PVL). Una vera bomba! La più temuta: la lesione cerebrale! I miei poveri genitori rimasero interdetti. Il medico precisò che avrei avuto tutto il supporto possibile, che forse solo la parte motoria era colpita, e che forse dal lato cognitivo avrei avuto pochi danni. Non si poteva comunque prevedere l’entità delle disabilità, e di quali disabilità avrei sofferto (anche se il primario accennò a difficoltà motorie). Papà e mamma non ebbero parole per replicare. Incassarono il colpo e tornarono a casa.
Papà non capiva, da quello che aveva letto, i conti non tornavano: la leucomalacia, generalmente, compariva come conseguenza di un’emorragia periventricolare di quarto grado o per traumi prenatali, o immediatamente postnatali, e si evidenzia in fretta sulle ecografie. Le due prime ecografie erano buone. Come mai solo alla terza, e dopo più di 2 mesi, la leucomalacia saltava fuori?
La padella
Papà si mise a cercare freneticamente su internet notizie, ricerche, qualsiasi cosa che parlasse della leucomalacia, e trovò. Trovo’ una correlazione tra stress, dolore, e episodi ischemici. Infatti, per certe cure o manipolazioni invasive, si usa la morfina. Anche per prematuri come me.
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Emory University School of Medicine, Egleston Children’s Health Care System, Atlanta, Ga., USA
Anand KJ
Clinical and laboratory investigations of neonatal pain suggest that preterm neonates have an increased sensitivity to pain and that acute painful stimuli lead to the development of prolonged periods of hyperalgesia. Non-noxious stimuli during these periods of hyperalgesia may expose preterm neonates to established or chronic pain. Acute physiologic changes caused by painful or stressful stimuli can be implicated as important factors in the causation or subsequent extension of early intraventricular hemorrhage (IVH) or the ischemic changes leading to periventricular leukomalacia (PVL). Therapeutic interventions that provide comfort/analgesia in preterm neonates were correlated with a decreased incidence of severe IVH. Long-term follow-up studies of preterm neonates may substantiate the preliminary data associating repetitive painful experiences with some of the neurobehavioral and developmental sequelae resulting from neonatal intensive care.
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Nessun neonato è mai stato trattato con così evidente sadismo. Mai! Sono rimasto per settimane con rostri rigidi infilati a forza in un nasino necrotico, tumefatto, e sanguinante. I rostri, inoltre, tenevano su spesso il peso della mia testa.
Quando papà scoprì che fino a pochi anni fa (10) la medicina credeva che i prematuri non soffrissero per la non completa formazione dei nervi e che adesso, viceversa, si sa che la non completa formazione dei nervi acuisce la sensazione di dolore diffondendolo per tutto il corpo, rimase allibito e nauseato. Nauseato dalla scienza senza cuore, e allibito da tanta stupidità. Chiese d’urgenza un appuntamento con il primario. Quest’ultimo acconsentì! Papà affrontò il povero medico di petto con queste parole: “dottore, sono convinto che gli episodi ischemici che hanno determinato la leucomalacia sono dovuti allo stress e al dolore che la necrosi del naso -provocata dal CPAP e il suo continuo e improprio utilizzo- ha provocato a mio figlio Francesco Ugo”. Il dottore, affossato sulla sedia e con gli occhi a terra rispose: “Sì, è molto probabile!”. Povero dottore non meritava la rabbia di papà e mamma.
Papà, molto probabilmente, aveva ragione. Durante ogni “trattamento” del mio naso, mi dimenavo e piangevo con tutte le mie forze. A volte, il “trattamento” durava a lungo e mi affaticavo moltissimo e le mie successive apnee e bradicardie si facevano più profonde e richiedevano stimolazioni sempre più forti -come documentato dallo studio sulla stimolazione basale fatto dall’infermiera (a un certo punto l’infermiera scrive che non facevo più movimenti spontanei salvo le mie manine che correvano invariabilmente al CPAP). Queste forti e prolungate apnee privavano il mio cervello di ossigeno e piccole parti di esso erano morte. L’organismo si incarica poi di portare via il tessuto morto. Ecco l’origine delle “bollicine”…
Papà era arrabbiatissimo. Mamma era sconvolta. Ma dovettero calmarsi. Ero nelle loro mani.
Un episodio è esemplificativo dei metodi dell’INSELSPITAL. Le infermiere avevano l’ordine di spegnere le macchine (indicano la frequenza cardiaca e il livello di ossigeno nel sangue) quando arrivavano i genitori. Dare ossigeno a un bambino con un tubo volante settato su 2 litri al minuto è un’impresa improba se non hai le indicazioni del livello di saturazione del sangue. O ne dai troppo e rovini i polmoni, o ne dai troppo poco e rischi episodi di ipossia con danni al cervello. Al limite, e alla lunga, si può provocare un’ipertensione polmonare, spesso irreversibile e anche mortale. La generica scusa era che i miei genitori dovevano abituarsi a guardarmi e a capire come stavo dalle mie colorazioni. In chiaro: darmi dell’ossigeno se diventavo blu! Raccomandazione più che valida se il fabbisogno di ossigeno è debole, ma assurda per un broncodisplasico come me. Flirtavo allegramente con il 45% di fabbisogno, ed era molto irregolare. Diventavo blu in un minuto o meno. Nessuno rispettava “l’ordine”, fino al giorno in cui un’infermiera zelante non impose di tenere la macchina spenta. Papà fece uno scandalo, era veramente di un umore omicida e con i suoi 120kg e il suo metro e 95 incuteva paura. Dopo l’intervento del primario le macchine rimasero accese.
Dopo due controlli agli occhi con esito abbastanza buono, il terzo fu negativo. La ROP su un occhio aveva raggiunto il livello 3+ ed era da operare. Non si sa bene per quale motivo la ROP si sviluppa: per la prematurità sicuramente, ma sembra che anche l’ossigeno che molti prematuri devono usare per vivere sia uno dei maggiori responsabili dell’insorgenza di questa patologia. La pressione nei capillari dell’occhio è diversa, e questi ultimi si sviluppano in modo abnorme e staccano la retina. Si interviene generalmente con il laser o la crioterapia.
L’intervento era previsto per il lunedì successivo e richiedeva una nuova intubazione. Un bambino intubato deve per forza tornare -anche se per un breve periodo- alle cure intensive e il primario di neonatologia sapeva benissimo che papà e mamma non avrebbero mai accettato. L’operazione a Berna sì, ma non il ricovero alle cure intensive. La legge era contro il medico. Lui non poteva occuparsi di me non avendo il personale autorizzato. Il medico si adoperò per trasferirmi a Zurigo e farmi operare al più presto dall’oftalmologo di Zurigo.
Fu efficace, anche se le spese di trasporto sarebbero state messe sul conto di papà e mamma. Un elicottero costa, e anche parecchio (3’750 Sfr o 2’500.- US$). Alle 16:20 di venerdì primo maggio l’elicottero atterrava sul tetto del KINDERSPITAL di Zurigo, con a bordo anche l’infermiera delle cure intensive che aveva costruito il ponteggio per il mio nasino (un caro salutino del primario ticinese, grazie!), e contemporaneamente, i miei genitori terminavano il loro primo viaggio a Zurigo dopo 45 viaggi a Berna (28000 Km in poco più di 3 mesi. In tutto -durante la mia permanenza in Svizzera interna- papà e mamma percorreranno più di 35000 km in 4 mesi).
ZURIGO
Martedì mattina, il 4 di maggio, sono stato operato con la crioterapia, intubato ed estubato senza problemi. L’operazione era andata bene ma dovevano sempre tenere i due occhi sotto controllo, soprattutto quello non operato.
Nel frattempo ci ricevette lo specialista ORL, per controllare il mio nasino. Il medico -appena vide i danni- chiese il permesso di fotografare il setto con una macchina speciale, le foto potevano servirgli per i suoi corsi. Descrisse come sarebbe intervenuto in più tappe per ricostruirmi il setto nasale: un casino! Disse a papà e mamma queste testuali parole, in un buon italiano: “vedendo cose così non sono fiero di fare il medico!”.
Si tratta di un’operazione di plastica facciale complicata e molto dolorosa. Il naso cresce e la columella è difficilmente ricostruibile. Si può fare solo a tappe e con la previa vascolarizzazione di un pezzo di cartilagine dell’orecchio -per sostituire il setto mancante- infilato nella guancia; e l’esito estetico è incerto. Una difficilissima e sofferta decisione da prendere. Con Francesco Ugo non si può più sbagliare!
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Robertson NJ; McCarthy LS; Hamilton PA; Moss AL
Neonatal Unit, St George’s Hospital, London.Over a period of six months, seven cases were documented of trauma to the nose as a result of flow driver continuous positive airway pressure in babies of very low birthweight (VLBW). There was a complication rate of 20% in the babies who required it. Deformities consisted of columella nasi necrosis which can occur within three days, flaring of nostrils which worsens with duration of continuous positive airway pressure, and snubbing of the nose which persists after prolonged continuous positive airway pressure. These complications should be preventable by modifications to the mechanism and method of use.
: Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed. 1998 Mar; 78(2):F157-8; : Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed. 1998 Mar; 78(2):F158
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Dio, che bugiardi!
ZURIGO
La mia degenza a Zurigo continuò tranquilla con gli alti e bassi tipici dei prematuri. Crescevo (forse troppo!) e il consumo di ossigeno diminuiva. Solo il cuore dava qualche problema con una forte tachicardia (180-200 pulsazioni da sveglio, 150 durante il sonno). Rimasi a Zurigo per oltre un mese e venne il giorno in cui si poteva tentare il grande salto: tornare a casa. Avevo ancora bisogno di ossigeno -anche se poco- ed ero ancora curato con pesanti diuretici (Aldactone e Esidrex). Inoltre continuavo con le inalazioni di ventolin che, come effetto collaterale, aumenta la tachicardia. Nell’insieme andavo bene. Avevo evitato miracolosamente il riflusso tipico dei prematuri. Una “piccola” cosa turbava i miei genitori. Avevo un’ernia inguinale abbastanza evidente, tipica dei prematuri. Il primario di Zurigo voleva operare solo in caso estremo per evitarmi una nuova intubazione. Decisero che mi sarei portato l’ernia a casa e che sarebbe stata tenuta sotto controllo.
Papà e mamma si procurarono le bombole di ossigeno per casa, da trasporto, e di emergenza, ma decisero e chiesero di potermi portare per qualche giorno alla clinica Sant’Anna per permettere a mamma di prendere dimestichezza con le procedure di cura. Non ne aveva bisogno, però si sentiva insicura.
Poveri papà e mamma, sapevano che avrebbero dovuto fare un corso di rianimazione (CPR). Si usa così negli USA, dove papà prendeva le sue informazioni. Avevano in casa un bambino prematuro grave, ossigeno dipendente, ed erano senza supporto di qualsiasi tipo. Dovevano organizzare tutto da soli. Non disponevano neanche di un AMBU e comunque non avrebbero saputo come usarlo. Il viaggio da Zurigo fino alla clinica fu fatto in ambulanza.
Dopo quattro strani (con il senno di poi) giorni passati alla clinica Sant’Anna, il 30 di maggio, finalmente, arrivai a casa.
LA GRANDE PAURA
Tutto procedeva abbastanza bene. L’ossigeno mi era somministrato tenendo nei miei paraggi un tubo con un flusso di circa 1 litro al minuto. Dopo 2 o 3 giorni cominciarono i problemi: era difficile per i miei genitori controllare la saturazione di ossigeno con una macchinetta portatile trovata dal neonatologo della clinica Sant’Anna. Suonava sempre e cominciavo a soffrire di violentissime coliche. Forse era colpa della mia alimentazione (capita spesso!) o delle mie stenosi intestinali. Dopo tre giorni divenne insostenibile anche la situazione dell’ernia e i miei genitori pensavano che dovevano operarmi a tutti i costi. Papà -tramite internet- scoprì che anche su bambini come me si poteva operare l’ernia in anestesia locale, evitando così l’intubazione. La pediatria dell’ospedale di Bergamo -contattata da papà- confermò; aggiungendo che erano pronti a ricevermi entro l’indomani . Papà chiamò il primario di Zurigo e minacciò di portarmi a Bergamo se non mi avessero operato in anestesia locale a Zurigo. Dieci minuti dopo il primario di Zurigo richiamò e confermò che mi avrebbero operato a Zurigo entro due giorni in anestesia locale.
Papà installò le bombole in macchina e partimmo per Zurigo. L’ernia era diventata grossissima e quando andavo di corpo diventava blu e mi faceva male (andare di corpo è sempre stato un problema: una delle conseguenze della NEC).
Un viaggio da ricordare – con le bombole installate alla dilettante. Papà e mamma erano preoccupatissimi. Non è semplice come sembra trasportare un bambino ossigeno dipendente come me. Papà guidava come su delle uova e, sinceramente, posso dire che i miei genitori erano diventati un po’ paranoici.
Mi operarono, come promesso, in anestesia locale, senza problemi. Papà chiese un’ecografia al cuore. Non l’avevano mai fatta, né a Berna e neanche a Zurigo, malgrado il dubbio del dotto di Bottallo aperto. Devo aggiungere che papà dovette insistere veramente molto per ottenerla. Riscontrarono una piccola malformazione, che definirono fisiologica per un prematuro come me, ma non seppero spiegarla. Il cardiologo di Zurigo mi voleva rivedere a scadenze regolari.
Dopo due giorni tornammo a casa e le cose peggiorarono ancora. L’aumento di peso era eccessivo e papà aveva paura di un accumulo di liquidi nei polmoni. Il consumo di ossigeno aumentava a vista d’occhio. Dopo 2 settimane chiesero al neonatologo della clinica Sant’Anna di vedermi. Prepararono tutto per portarmici. Papà aveva la bombola sotto il braccio ed era munita di acquapac: un recipiente d’acqua distillata per umidificare l’ossigeno che respiravo. Papà inavvertitamente inclinò leggermente la bombola e l’acqua mi arrivò direttamente nel naso. Smisi di respirare e diventai blu. La mamma se ne accorse e mi tolse dal seggiolino portatile. Fu formidabile! Praticò la respirazione artificiale, tossii, mi ripresi, VIVEVO! Papà e mamma erano lividi. La mia nonna Gemma -presente- era spaventatissima. Terrorizzati, papà e mamma chiamarono la clinica. Il dottore li rassicurò e con un’incredibile cautela mi portarono in clinica.
A casa con il tubicino
I dati erano brutti, la mia PCO2 (il CO2 nel sangue) era a 78 mmHG (normale: 30-45 mmHG). Voleva dire che i polmoni non scambiavano bene i gas. Papà mise l’accento sul mio inusuale aumento di peso. Il medico aumentò leggermente i diuretici, ma non poteva ricoverarmi. La clinica non è autorizzata a farlo. I miei genitori continuarono a non dormire di notte. Le coliche erano sempre più forti e il consumo di ossigeno aumentava ancora. Eravamo a due litri al minuto con il tubo a 10 cm. Papà dovette passare alla cannula subnasale (non gli occhialini, che non sopportavo per via del mio nasino a pezzi, ma un tubicino munito di due fori). La mia autonomia senza ossigeno era di 10- 20 secondi, e la mia frequenza respiratoria superava i 100. La “macchinetta” (pulsox) impazziva: suonava sempre. Papà e mamma non sapevano più come mettermi il sensore e il tubicino. Papà dovette inventare un sistema molto più funzionale di quello utilizzato negli ospedali per somministrarmi l’ossigeno con il tubicino subnasale. Molto più funzionale almeno per me: invece dei soliti due buchini allineati con le narici (buchini che si spostano e non garantiscono l’allineamento costante con le narici), papà forò con minuscoli buchi il tubicino a 360 gradi per poi -una volta installato- schermarlo su 200/220 gradi, garantendo così un afflusso costante, in qualsiasi posizione, di ossigeno ai miei polmoni. Stavamo vivendo un incubo!
Papà si fece costruire da una cara amica una campana in plexiglas. Voleva sapere di quanto ossigeno avevo bisogno. Tramite la lega contro la tubercolosi (lega polmonare) trovò l’apparecchio per misurarlo: 60%! Troppo!
La situazione stava precipitando!
Chiamarono la croce verde e chiesero d’urgenza un corso di rianimazione. Arrivarono in fretta e lo diedero. Si presentò anche un medico che fu sorpresissimo di vederli alle prese con un bambino in quelle condizioni. Si prodigarono e cominciarono a fare le ronde intorno a casa nostra. FORMIDABILI!! La lega contro la tubercolosi ci diede il suo prezioso appoggio. Non stavo bene, ma cominciavano ad aiutare papà e mamma. (La ditta che ci forniva l’ossigeno “rubò” per noi un lettino d’ospedale a culla trasparente: così i miei genitori potevano tenermi meglio sotto controllo di notte. Culla che, ovviamente, è stata restituita). Mi riportarono dal medico della clinica Sant’Anna. La PCO2 era salita a 83 mmHG. Un orrore da immediata intubazione! Il medico consigliò di continuare con l’ossigenoterapia e niente di più(!?!). Papà e mamma erano alle corde. Sapevano che se continuavo così rischiavano di perdermi. Chiamarono Zurigo e il primario ascoltò, ma prima di riprendermi -per evitare il viaggio- consigliò di chiamare e consultare la dottoressa Regazzoni all’Ospedale della Beata Vergine di Mendrisio. Disse che è un’ottima neonatologa.
FINALMENTE POCAHONTAS
Papà chiamò Mendrisio, parlò con la Dottoressa, si spiegò, e lei capì il disagio, la paura, e la necessità di dare un colpo di mano ai miei disperati genitori. Soprattutto capì che ero in cattivissime condizioni. Alle 11:00 della stessa mattina l’ambulanza mi portò a Mendrisio. La Dottoressa mi aspettava e mi auscultò tutto il pomeriggio Rinviò tutti i suoi impegni. La dottoressa, a fine giornata, decise le terapie. Lasix (diuretico forte) da aggiungere a quelli che prendevo già con l’aggiunta di sali minerali, corticosteroidi per via orale per quattordici giorni per poi continuare con inalazioni di Pulmicort (sempre un corticosteroide) e Ventolin per allargarmi le vie respiratorie. Decise di tenere la saturazione dell’ossigeno al minimo. In chiaro: mantenere l’ossigenazione del sangue a un livello sufficiente per evitare ipertensione polmonare o una cattiva ossigenazione, ma utilizzare la minor quantità possibile di ossigeno per evitare di infiammare i polmoni e peggiorare la BPD. La difficoltà risiede proprio in questo equilibrio difficile da raggiungere per le infermiere (nei reparti di cure intense che ho frequentato erano piuttosto larghi nella somministrazione di ossigeno).
Era musica per le orecchie di papà e mamma (papà si sentì dire esattamente, parola per parola, quello che voleva sentire!). La dottoressa sembrava decisa e apparentemente disponeva di una buona squadra. Papà e mamma le diedero la loro fiducia; e mai fiducia fu meglio riposta!
OBV Mendrisio
Le cure fecero subito effetto. Ero pieno di acqua (edemi). Nelle prime ventiquattr’ore persi mezzo chilo e respiravo già meglio. Papà e mamma erano felici: vedevano una lucina in fondo al tunnel.
La mia degenza a Mendrisio si protrasse per tre mesi, con fasi alterne, ma con cure di prim’ordine. Con il tempo papà e mamma conobbero tutta la squadra. Era fantastica! Certo, mi afflisse una polmonite, un’infezione urinaria, gli elettroliti nel sangue non erano buoni -colpa dei diuretici- e dovettero somministrarmi molto sodio e potassio che rendevano tutto quello che mangiavo molto salato. Avevo difficoltà a mangiare, poco appetito, e non aumentavo più di peso. Ma come promesso, la dottoressa mi stava portando a liberarmi dall’ossigenoterapia; ed ero sotto costante sorveglianza; mi stavano letteralmente addosso. A Mendrisio, nel reparto di pediatria, non aspettano: fanno!
Nel frattempo la dottoressa mi fece un’ecografia cerebrale e non vide niente. Con modestia chiese che venisse ripetuta a Zurigo in occasione del mio controllo degli occhi.
Partenza per Zurigo, con in macchina una buona installazione per l’ossigeno e un’ottima infermiera della pediatria di Mendrisio (la mia amica Barbara). Questa volta i trasporti alla carlona erano veramente finiti.
Anche a Zurigo l’ecografia cerebrale diede esito negativo. Era un’ottima notizia, anche se non vuol dire che tutto è a posto con la leucomalacia, anzi! Però, è una gran bella notizia! Al limite le lesioni non sono molto estese. C’è da dire che l’estensione delle lesioni non è proporzionale ai danni neurologici. Solo una TAC potrebbe darci un’idea più precisa dell’estensione delle lesioni.
I miei genitori considerano una TAC, per adesso, totalmente inutile. Non risolverebbe niente e non cambierebbe nulla nelle cure successive, che saranno comunque date in base a come mi svilupperò e non in base alle “bollicine” che ho in testa. La diagnosi è comunque molto chiara: avrò gravi problemi motori!
L’oftalmologo di Zurigo era contento: l’occhio operato era a posto. L’altro aveva qualche problema, ma non sembrava insormontabile. A Zurigo però, appena arrivato, erano convinti che avessi ancora bisogno di una grossa quantità di ossigeno. Papà insistette che non era vero -appoggiato in questo dalla bravissima infermiera di Mendrisio che ci accompagnava (Barbara)- ma non volevano capirla. Papà intervenne d’autorità e dimostrò al pneumologo che una certa pressione d’aria data dal subnasale sortiva un effetto contrario. Probabilmente -secondo papà- la fluidodinamica del mio naso -non avendo più il setto- è differente. Sosteneva che a certe pressioni si formava un vortice. Infatti papà dimostrò -con gran disappunto del medico pneumologo- che avevo bisogno solo di un filo di ossigeno, invece dei 2 litri al minuto al 50% O2 come sostenevano loro. Incredibilmente volevano cambiare tutte le medicine e adattarle ad una situazione polmonare che non corrispondeva per niente alla realtà. Da quasi guarito mi avrebbero ributtato nei vortici della BPD: per ignoranza e spocchia!
Dopo tre giorni eravamo di ritorno a Mendrisio.
Domenica 4 ottobre tornai a casa SENZA OSSIGENO. La dottoressa e la sua squadra dell’Ospedale della Beata Vergine di Mendrisio avevano fatto dei miracoli. Pesavo 6,2 kg, non crescevo da un po’ di tempo, ma stavo bene e passavo il mio tempo a sorridere a papà e mamma.
A casa per sempre
Papà -con una spesa non indifferente- ha trovato tramite internet un farmaco che diminuisce il rischio di contrarre l’RSV (respiratory syncitial virus) del 40% appena approvato dalla FDA (ente americano di controllo dei farmaci e dell’alimentazione). Con l’aiuto di un farmacista di Lugano riuscì a farlo arrivare dagli Stati Uniti in meno di una settimana. È introvabile anche per gli americani ed è, con molte probabilità, la prima cura di questo tipo usata in Europa. 12’000.-Frs. per un inverno (costi totali a carico di papà e mamma per il mio ricovero in Svizzera interna e a Mendrisio: hotel, viaggi, Synagis, elicottero ecc.: 38’000.-Sfr, o 26’000.-US$).
Inverno 1999-2000: i costi, calcolati per difetto, sono saliti a: 70’000.- Sfr, o 40’000.- US$, o 80mio Ita£ /cash!
Infatti, seguendo le indicazione dei pediatri USA, papà ha deciso di ridarmi il Synagis. Questa volta la spesa è stata di 24’000.- Sfr (16’000.- US$). Un terzo del medicinale -sufficiente per un bambino di 3 kg- lo dobbiamo buttare (uso, infatti, solo una fiala e mezza). In Svizzera non “esiste”, e i pediatri non ne vogliono parlare con i genitori per paura di dover giustificare con menzogne il fatto che la loro associazione -probabilmente in combutta con le assicurazioni o con l’assicurazione invalidità- non lo abbia incluso nei loro medicamenti coperti. Costa meno ricoverare alle cure intense e perdere (!) qualche bambino che pagare il farmaco? Il Synagis è preventivo e per di più la sua efficacia è solo del 40-50%; però i bambini che lo assumono, e che malgrado tutto contraggono il virus, hanno una malattia con un decorso più leggero.
Negli USA hanno allargato la sua fascia d’utilizzo e sembra che l’anno prossimo sarà somministrato anche ai bambini con problemi cardiaci e ai bambini con patologie non tipiche della prematurità, come la fibrosi cistica.
[Ottobre 2000: il “Synagis” e’ stato inserito nei medicinali rimborsati dalle casse malati. Abbiamo inoltrato immediata richiesta di rimborso sostenendo che se il farmaco è valido oggi lo era anche ieri. Per il momento (fine dicembre 2000) non abbiamo ancora ricevuto risposta.]
[Agosto 2001: dopo un ricorso la risposta è definitivamente arrivata: il rimborso non e’ possibile!]
L’RSV è il nostro grande nemico. Benigno per i bambini sani ma potenzialmente letale per noi prematuri o bambini con problemi polmonari. Però, con l’isolazione in casa -onde evitare raffreddori, influenze- e il farmaco (“Synagis”) trovato “online”, speriamo tutti che quel mefitico virus non appaia in casa nostra.
Ho ancora tantissimi problemi da risolvere o da superare, tante cure da fare, tanti esami e medicine da prendere, giorno per giorno, e per tanto tempo. Ma a Mendrisio c’è una squadra nella quale abbiamo piena fiducia e sempre pronta ad aiutarmi. La mia forza e la mia voglia di vivere, l’amore dei miei, e un supporto medico di prim’ordine (finalmente), saranno sufficienti a tirarmi fuori dalla prematurità.
La guerra non è vinta, ma il nemico sta cedendo.
Francesco Ugo Locatelli
N.B. In questa cronaca sono stati omessi un gran numero di altri episodi di crassa malasanità e di volgare arroganza. Sono stati omessi di proposito, avrebbero reso il racconto insopportabile!
Papà, che ha trascritto queste mia storia, è di cultura francese, e non è, ovviamente, un medico. Vi prego di scusarlo per gli errori di italiano, per i termini medici forse inesatti, e le spiegazioni imprecise. Rivolgetevi comunque sempre per un parere a un medico.